Correre insieme per superare i limiti: il mio impegno con i ragazzi disabili


Da quando aveva 17 anni, Alessandro Carrarini è volontario di Progetto Filippide Marche Aps. E’ lui il protagonista di questa puntata del podcast e del blog.
“Sarebbe molto bello se Filippide si espandesse, magari in tutte le province delle Marche. Noi corriamo a Fermo, ma c’è un ragazzo dell’Ascolano che viene accompagnato dai genitori due volte a settimana. È un grosso impegno, anche per loro”.
Ci crede davvero nella forza del correre insieme, Alessandro Carrarini, e vorrebbe che la realtà di cui fa parte da cinque anni crescesse e si espandesse in tutta la regione. Alessandro è di Porto Sant’Elpidio, nel Fermano, ha 22 anni, studia Filosofia a Macerata, è capo scout e istruttore di atletica. Da quando aveva 17 anni, è volontario di Progetto Filippide Marche Aps, associazione con sede a Fermo, che promuove la corsa su lunghe distanze per ragazzi con autismo o con malattie rare correlate con l’autismo.

Come sei entrato nell’associazione?
Grazie agli scout. Dovevo scegliere un’associazione in cui fare volontariato e mi è stata proposta Filippide. In quel periodo correvo e mi sono detto: “È perfetto per me”. È stato il primo contatto con la disabilità che ho avuto in maniera seria. Ero molto curioso di intraprendere questo percorso e mi ci sono buttato. Il primo giorno è stato abbastanza complicato perché ho dovuto correre con un ragazzo che, però, non ne voleva sapere. È stata una sfida: mi ha fatto crescere anche personalmente. Sono grato di questa opportunità perché mi ha aperto un mondo.
Serve una formazione specifica per farne parte?
La formazione si fa sul campo. Ovviamente, all’inizio ti fanno seguire dei ragazzi con situazioni meno complicate, ma gradualmente ci si dovrebbe abituare a lavorare con tutti. Anch’io ho iniziato così e sono arrivato a lavorare con tutti i ragazzi. Dico “lavorare” perché lo prendo proprio come un impegno.
Come funzionano gli allenamenti?
Ci vediamo tre pomeriggi a settimana: due giorni corriamo e uno camminiamo. Quindi, ci sono il “gruppo corsa” e il “gruppo cammino”. Con il gruppo corsa, ora, stiamo preparando la mezza maratona, la Roma-Ostia, che si terrà a marzo. Con il gruppo cammino facciamo lunghe passeggiate sul lungomare e qualche esercizio di psicomotricità. Partiamo con un po’ di riscaldamento. Con i ragazzi con disabilità cognitiva ci sono degli esercizi che, fatti in una certa maniera, sono inutili. Quindi, le prime volte bisogna spiegare come vanno fatti e non è detto che diventi un automatismo. Perciò, bisogna stare attenti che tutti li facciano bene, mentre magari li stai facendo anche tu e non è molto semplice. Finito il riscaldamento, iniziamo a correre.

Mentre si corre, non è difficile interagire?
La corsa è uno strumento di comunità, è qualcosa che accomuna le persone che la fanno insieme. Grazie a questa esperienza, ho sperimentato la differenza tra correre da soli e correre in gruppo, o accompagnati o accompagnando qualcuno. È una sensazione completamente differente, anche a livello emotivo. Quando corri da solo, sei concentrato su te stesso e hai ben chiaro l’obiettivo. Se sei in compagnia, sacrificare l’obiettivo, in favore di un senso di comunità e di compagnia, non sempre è negativo, anzi.
C’è un episodio della tua esperienza che vorresti condividere?
Ce ne sono tanti perché sei fortemente coinvolto a livello emotivo. Quello più intenso è stato la prima mezza maratona (21 chilometri e 975 metri, ndr), che abbiamo fatto, visto che prima facevamo solo le dieci chilometri. Abbiamo avuto non poche difficoltà perché un ragazzo dei nostri si era fermato e non voleva ripartire. Mi sono fermato con lui, mentre gli altri hanno proseguito. Era il 17esimo chilometro. Per due chilometri abbiamo camminato e sono riuscito a farlo ricominciare a correre al 19esimo chilometro. Quell’ultimo tratto è stato un inferno perché a entrambi sono venuti i crampi, però la soddisfazione al traguardo, con le persone intorno che ci applaudivano, è stata veramente impagabile. Del tempo non ci interessava più di tanto, l’importante era dimostrare che era possibile. Poi, c’è stato un momento simpatico che in queste situazioni non mancano: ho chiesto al ragazzo se potevo abbracciarlo e mi ha risposto: “Dopo”, perché era arrabbiatissimo con me che l’avevo fatto ripartire. Dopo quella prima mezza maratona, un nostro ragazzo ha anche corso la maratona, al motto di “È impossibile solo se pensi che lo sia”.
Come vivono i ragazzi questo impegno?
Dipende dai ragazzi, dai giorni, dai ritmi, dalle abitudini. Per esempio, c’è un ragazzo che, se modifichi i giorni di allenamento, si rifiuta. Lui viene ad allenarsi il martedì e il giovedì. Noi il mercoledì andiamo a prendere i ragazzi del gruppo “cammino” nel suo stesso centro diurno. Se gli chiediamo se vuole venire con noi, risponde: “No no, oggi è mercoledì”. Però martedì e giovedì è ben contento di venire. Allo stesso modo, c’è chi è sempre molto contento di partecipare e chi è un po’ altalenante, come un ragazzo – noi lo chiamiamo il capitano perché, se qualcuno si ferma, lui lo sprona a ripartire – che in alcuni giorni è entusiasta, ma in altri decide che non vuole correre. Alla fine, riusciamo sempre a convincerlo e fa benissimo, anche quando è svogliato.
Come riesci a gestire questi rapporti?
L’importante è saper mediare perché, se i ragazzi vengono da te e vedono che sbattono contro un muro, perdono fiducia e, di conseguenza, perdono la voglia di venire ad allenarsi. Visto che è un ambiente in cui si trovano bene e che a loro giova molto, sarebbe un peccato rovinarlo, per una nostra negligenza.

Cosa porti a casa dopo un pomeriggio di allenamento?
Stanchezza (ride, ndr), però anche tanta, tanta gratificazione. È bello tornare a casa sapendo che hai fatto del tuo per questi ragazzi che, invece di stare lì, potevano stare a casa a guardare la televisione o a fare qualcosa che sarebbe stato molto meno “produttivo” per loro. Invece, grazie a Filippide, riusciamo a dar loro questa possibilità. Partecipando alle gare, per esempio, alcuni ragazzi sono riusciti a dormire fuori casa per la prima volta. È stato un traguardo importante per loro e per me che, da volontario, sono riuscito a interagire anche con ragazzi un po’ più “problematici”.
Se dovessi sintetizzare con una parola cosa rappresenta per te il volontariato, quale sarebbe?
Sacrificio. Perché, quando ancora andavo a scuola, era un impegno. Facevo atletica, mi allenavo cinque giorni a settimana, due dei quali con Filippide. Aggiungi il carico di studio, gli scout, la vita sociale: era ed è tuttora una vita abbastanza impegnata. Ma ho sempre messo Filippide davanti a tutti i miei impegni perché mi sono messo a servizio di queste persone e mancare alla parola data non sarebbe giusto. Ho sempre sacrificato tanto per seguire Filippide e non rimpiango niente, perché l’ho sempre fatto col cuore. È un impegno che ho preso, una promessa che ho fatto a me stesso e, implicitamente, ai ragazzi nel dire: “Io ci sarò sempre per voi”.

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