Come le attività di “interesse sociale” nel Terzo settore possono essere un vantaggio per la società © Foto in copertina di Daniela Bazzani, progetto FIAF-CSVnet "Tanti per tutti. Viaggio nel volontariato italiano"

Come le attività di “interesse sociale” nel Terzo settore possono essere un vantaggio per la società

Città: ROMA - Venerdì, 14 Ottobre 2022 Scritto da Staff CSV Marche

(da Cantiere Terzo settore*) -  Il Ministero del Lavoro ha chiarito in una nota la nozione che si accompagna alle attività culturali, artistiche o ricreative, quelle con finalità educativa e quelle turistiche nel codice del Terzo settore secondo criteri generali e specifici

ROMA - Il Ministero del Lavoro, direzione generale del Terzo settore e della responsabilità sociale delle imprese, con l’emanazione della nota numero 11379 del 4 agosto scorso, ha aggiunto un importante tassello all’attuazione delle norme sul Terzo settore, attraverso il chiarimento della nozione di “interesse sociale”.

Come è noto, questo requisito supplementare deve assistere, per espressa previsione di legge (Codice del Terzo settore - dlgs n. 117/2017, di seguito, anche: Cts o Codice), le seguenti attività di interesse generale:

  • organizzazione e gestione di attività culturali, artistiche o ricreative;
  • attività culturali con finalità educativa;
  • organizzazione e gestione di attività turistiche.

L’interesse sociale è richiesto anche alle attività di ricerca scientifica degli enti di Terzo settore (Ets), ma attraverso una dimensione ulteriormente rafforzata, ossia di “particolare interesse sociale” (art. 5, co.1, lett. h), Cts).

La rilevanza del chiarimento è di tutta evidenza, ed ha a che fare con l’impatto che il riconoscimento del requisito produce sull’area di estensione delle attività di interesse generale svolte dall’ente e dunque, in certa misura, sulla stessa sua qualifica di organizzazione del Terzo settore. Per esemplificare, se un ente svolge attività culturali, in modalità e forme che tuttavia non soddisfano il quadro dei criteri utili al riconoscimento dell’interesse sociale, potrà continuare a condurle esclusivamente nei limiti riservati dalla normativa alle attività diverse. E se tali attività fossero le uniche svolte dall’ente, è evidente che non si riscontrerebbero le condizioni per qualificarlo come soggetto di Terzo settore.

Per raggiungere l’obiettivo, il ministero ha richiesto al gruppo di esperti del Consiglio nazionale del Terzo settore l’emanazione di un parere in materia, in seguito fatto proprio dallo stesso Consiglio nella seduta dei lavori del 5 luglio scorso e successivamente accluso alla nota nell'intento di fornire una prospettiva comune in grado di assicurare l’uniforme applicazione della normativa su tutto il territorio nazionale.

Sembra utile sottolineare che il parere, concentrandosi sul merito oggettivo della nozione, appare in grado di estendere la sua portata chiarificatrice anche al di là del perimetro normativo espressamente richiamato dalla nota, ossia l’articolo 5 del Cts. In particolare, va ricordato che le attività interessate sono ricomprese anche nell’elenco di quelle di interesse generale esercitabili dalle imprese sociali (art. 2, dlgs n. 112/2017) e dunque i criteri cristallizzati nell’analisi possono valutarsi applicabili anche in quella sede, salvo le declinazioni particolari vincolate dai modelli organizzativi o dalla natura stessa dell’ente (si veda, ad esempio, l’interesse sociale apprezzato come insito all’incardinamento di un rapporto associativo, quest’ultimo secondo i termini rigorosi, di forma e sostanza, richiesti dal Codice).

Il canone interpretativo generale ed i criteri specifici

Dal parere emerge chiaramente la volontà di approcciare il tema attraverso una formula di diretta traduzione operativa, che dunque consenta ai lettori (Ets, uffici del Runts) una immediata verifica della concreta situazione che in un dato momento stanno valutando: i criteri di individuazione dell’interesse sociale sono infatti rifusi in categorie tangibili di riferimento ed in numerosi esempi materiali.

All’interno di questo modello di impronta esecutiva, è possibile individuare un’impostazione metodologica basata su un canone generale e su diverse sue declinazioni elaborate in base all’attività, alcune delle quali specifiche ed altre viceversa trasversali a più “tipi”.

Al vertice della tassonomia si intravvede (canone generale) una lettura costituzionalmente orientata della nozione, posta a presidio di ogni criterio distintamente individuato così come di ogni fattispecie espressamente richiamata. Più in particolare, la prospettiva in cui la nozione assume specifico significato è quella della sua concorrenza a dare forma al principio di uguaglianza sostanziale (art. 3 della Costituzione). In base a questo assunto, l’azione dell’ente del Terzo settore risponde alla richiesta del legislatore, cioè di realizzare un vantaggio per la società (interesse sociale) se, pur materializzandosi in azioni a diretto favore di singoli o di gruppi/comunità definiti, è in grado di favorire/promuovere la coesione sociale e l’accesso allargato ai diritti e alle opportunità, contribuendo a rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini ne impediscono il pieno sviluppo personale, così come la sua effettiva partecipazione all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese” (art. 3, Cost., cit.).

Troviamo esplicitato il richiamo a tale canone nella disamina degli ambiti di organizzazione e gestione delle attività culturali, artistiche o ricreative, ma in un’ottica di lettura sistematica del parere, tenuto conto sia del dato genetico che accomuna tutte le attività di interesse sociale in quanto tali, sia dei parametri e delle configurazioni in questo complessivamente richiamate, appare conseguente poterlo riconoscere “a monte” di ogni concreta espressione di indirizzo e/o casistica.

Criteri specifici: le attività culturali con finalità educativa

Il chiarimento della nozione nell’ambito delle attività culturali con finalità educativa è affidato a due distinti criteri, basati rispettivamente su:

  • la qualità dei beneficiari delle attività (o, in un caso, dei “committenti” di queste);
  • la preesistenza nell’ordinamento di istituti che riconoscono meritevolezza all’attività, rendendola destinataria di trattamento “agevolato” rispetto a quello che, in via ordinaria, gli sarebbe spettato.

Sulla scorta del primo criterio, assumono rilevanza le attività rivolte a:

  • gli associati ed i loro familiari;
  • i giovani fino all’età prevista per l’adempimento dell’obbligo scolastico ai fini del conseguimento del titolo di studio o della qualifica professionale; in tal caso, in una lettura sistematica del principio, sembra potersi attribuire rilevanza al dato anagrafico oltre il quale decade il più generale diritto alla formazione scolastica, ossia il compimento del diciottesimo anno d’età;
  • i lavoratori, al fine di potersi riqualificare e trovare nuove occasioni lavorative (sempreché le attività di riqualificazione non ricadano già nei percorsi di formazione professionale di cui alla legge numero 53 del 28 marzo 2003, nel qual caso sarebbero di diritto attività di interesse generale);
  • le persone che rientrano in categorie fragili, emarginate o disagiate, così come le loro famiglie e gli ulteriori appartenenti alle reti sociali di tali persone, per esempio coloro che sono impegnati, in aggiunta o in luogo dei familiari, nelle attività di assistenza e/o cura del soggetto fragile; per l’individuazione non auto definitoria di quest’ultimo, è sempre opportuno fare riferimento ai vari destinatari sociali che si trovano distintamente identificati nelle numerose iniziative normative e di intervento sociale, attuate sia a livello nazionale che di programmazione territoriale; può soccorrere, altresì, ancorché in termini non esaustivi, la segmentazione dei “soggetti svantaggiati” operata dalla normativa sulle Onlus (dlgs n. 460/97, art. 10);
  • volontari ed i lavoratori degli Ets e degli enti privati (o i lavoratori di enti pubblici), che operano nei settori di interesse generale di cui all’articolo 5;
  • le persone che intendano impegnarsi – come lavoratori o volontari - nelle attività degli Ets, allo scopo di acquisire le competenze necessarie e di consolidare le motivazioni;
  • altri Ets o enti senza scopo di lucro, per lo sviluppo di attività culturali con finalità educative nell’ambito della realizzazione di attività di interesse generale (ad esempio, laboratori di lettura/scrittura realizzati a favore di altro Ets nell’ambito di un’attività di accoglienza da questo svolta verso popolazioni migranti).

Ma nell’ambito di questo elenco, quali sono le attività o i servizi concretamente da erogare? Il parere enumera una serie di tipi (cinema, teatro, musica, arti figurative e coreutiche, letteratura e progetti educativi in materia di alimentazione e corretti stili di vita, studio assistito), ma lo fa espressamente a titolo esemplificativo: trattasi, infatti, di una casistica “aperta” in cui possono trovare casa anche ulteriori attività, purché saldamente ancorate ai due elementi qualificanti fissati dalla legge, ossia la natura culturale dell’attività/servizio e la sua finalità educativa. Non occorre sottolineare che tali requisiti dovrebbero essere espressamente richiamati dall’Ets che approccia la gestione di tali attività, e tanto sia in sede pianificatoria (ad esempio, nelle delibere che le adottano), sia in fase esecutiva (programmi operativi, comunicazione, rendicontazione).

Quanto al secondo criterio, il riferimento esplicito è agli indirizzi emanati da Agenzia delle entrate (si veda, in particolare, circolare numero 22/E del 18 marzo 2008) per l’individuazione delle attività formative, didattiche ed educative cui è riservata l’esenzione Iva dei relativi corrispettivi.

Rilevano, a tal fine, le attività culturali condotte:

  • nelle materie presenti negli ordinamenti scolastici di competenza del Ministero della Pubblica Istruzione; (ad esempio: attività corsistiche di informatica, sport ed educazione fisica, educazione musicale, lingue straniere insegnate nelle scuole pubbliche o negli istituti paritari);
  • nelle materie che la legge attribuisce alla competenza di soggetti pubblici diversi dall’amministrazione della Pubblica istruzione (si pensi alle attività formative devolute alle regioni e province autonome);
  • tramite progetti educativi, didattici e formativi approvati e finanziati da enti pubblici.

Si tratta, anche in questo caso, di un punto di partenza, in quanto in un allargamento dell’ottica secondo una visione sistemica di fattispecie parimenti meritevoli, tenuto conto anche degli istituti espressamente introdotti dalla normativa di Terzo settore, assumono espresso rilievo le attività condotte con il gratuito patrocinio degli enti pubblici e/o sulla scorta di iniziative di co-programmazione, co-progettazione e accreditamento degli Ets, ai sensi e per gli effetti delle disposizioni di cui al titolo VII del Codice.

Criteri specifici: organizzazione e gestione di attività culturali, artistiche e ricreative

In questa sezione, prima di esporre i criteri di selezione delle attività interessate, il parere si sofferma a lungo sulla declinazione del canone generale (attività che soddisfano l’interesse sociale in quanto pro-attive nel dare forma al principio dell’uguaglianza sostanziale), riconoscendo dignità equipollente alle iniziative di socialitàaggregazione e partecipazione che animano le comunità rendendole più coese e prevenendo, contrastando o mitigando fenomeni di deriva sociale, rispetto a quelle che più direttamente assolvono ad una funzione di cura/assistenza alla persona (ossia di persona in manifesta condizione di svantaggio). Si ammette dunque, senza più equivoci, che il concorso al bene comune, se pur in modalità e forme diverse, è patrimonio condiviso sia, ad esempio, dall’organizzazione di volontariato che sviluppa iniziative culturali in favore di minori disagiati, sia dall’associazione ricreativa che organizza laboratori teatrali per la comunità del quartiere.

Quanto alla selezione delle attività rilevantiil primo criterio utile è quello di destinazione, come nel caso delle attività educative.

Rilevano, a tal fine, le attività rivolte:

  • agli associati, ai loro familiari e ai partecipanti (tesserati) delle reti associative;
  • alle persone e famiglie, in contesti di formazioni sociali dove sono praticate aggregazione, socialità, solidarietà e condivisione;
  • a lavoratori, volontari e beneficiari non soci delle iniziative culturali, artistiche e ricreative;
  • alle categorie fragili, emarginate, svantaggiate, ai beneficiari delle attività̀ di interesse generale (si pensi ad intrattenimenti ed iniziative di animazione organizzati per gli assistiti di una casa di riposo dall’organizzazione di Terzo settore che la gestisce), nonché ai loro familiari;
  • a enti senza scopo di lucro che operano nei settori di interesse generale di cui all’articolo 5 (si riprenda l’esempio del caso precedente, supponendo che le iniziative siano gestite non direttamente, bensì avvalendosi di un’altra organizzazione di Terzo settore);
  • ai volontari e ai lavoratori degli Ets, degli enti pubblici, nonché degli enti privati che operano nei settori di interesse generale di cui all’articolo 5.

Il secondo criterio si riferisce agli schemi di azione e/o di contesto in cui l’attività è realizzata, e più precisamente al dato di meritorietà sociale che questi sono in grado di esprimere. In quest’ottica, sono ricondotti entro la nozione di interesse sociale le attività:

  • a cui i beneficiari accedano gratuitamente;
  • sviluppate nell’ambito dei rapporti di convenzione, accreditamento o patrocinio con la pubblica amministrazione o altri enti pubblici, inclusi quelli contemplati dal titolo VII del decreto 117;
  • svolte in luoghi “socialmente sensibili” (periferie cittadine, spazi e luoghi abbandonati o sottratti al giogo criminale) e presso gli immobili che la Pubblica amministrazione concede in uso agli Ets;
  • artistiche, culturali o ricreative (così come le attività svolte in stretta loro complementarietà) cui l’ordinamento abbia già riconosciuto, in altri ambiti, meritevolezza di tutela, ad esempio attraverso l’attribuzione di benefici contributivi o fiscali stabili. È utile sottolineare che è onere dell’ente precisare in sede statutaria o regolamentare il riferimento normativo che giustifica l’applicazione della previsione. Quindi, ad esempio, se un’associazione di promozione sociale con finalità assistenziali riconosciute intende richiamare l’interesse sociale ricondotto alle attività della cosiddetta “mescita o bar sociale”, svolte in stretta complementarietà con le finalità sociali e secondo il rigoroso rispetto dei relativi vincoli normativi (si veda, nella normativa vigente, articolo 148, comma 5 del dpr n. 917/86, e nella rifusione codicistica di Terzo settore, articolo 85, comma 4 del decreto 117) dovrà operarne espresso rimando tra le attività di interesse generale esercitate.

Criteri specifici: organizzazione e gestione di attività turistiche

Il turismo di interesse sociale deve assicurare, quali canoni generali di espressione del titolo meritorio, il suo svolgimento secondo i principi cristallizzati nella relazione finale della conferenza di Montreal 1996 “per una visione umanistica e sociale del turismo”, ovvero:

  • le attività integrano gli obiettivi umanistici, pedagogici e culturali del rispetto e dell'affermazione della persona;
  • gli utenti sono identificati chiaramente, senza alcuna discriminazione razziale, culturale, religiosa, politica, filosofica, sociale;
  • il prodotto “turistico” comprende come parte integrante un valore aggiunto non economico;
  • l’attività non deve impattare negativamente sull'ambiente locale;
  • i documenti, anche contrattuali, definiscono chiaramente le caratteristiche dell'attività ed i costi per gli utenti, da intendersi in ogni caso coerenti con gli obiettivi sociali perseguiti, fermo restando il reinvestimento almeno parziale di eventuali eccedenze per il miglioramento dei servizi;
  • la gestione del personale è conforme alla legislazione sociale, persegue finalità di valorizzazione ed implica una formazione permanente appropriata.

Le attività turistiche condividono con quelle precedenti sia il criterio di destinazione, sia il criterio che riguarda i modi di esercizio o i contesti di somministrazione.

Sotto il primo profilo assumono rilievo le attività turistiche svolte in favore di associati, categorie svantaggiate, beneficiari delle attività di interesse generale, lavoratori e volontari impegnati nelle attività.

In ordine al secondo, sono rilevanti quelle patrocinate o finanziate da pubbliche amministrazioniattivate in luoghi socialmente sensibili (vedi sopra) o comunque attraverso forme o ambiti che trovano già tutele nell’ordimento.

Sono in ogni caso attratti nell’orbita del turismo di interesse sociale le iniziative che assicurano obiettivi di equità, sostenibilità ed inclusione, collocate nei termini:

  1. del turismo equo e partecipativo, il quale presuppone condizioni di remunerazione giuste a favore delle comunità locali su cui il turismo impatta e l’impegno a costruire buone relazioni tra queste ed il turista;
  2. del turismo sostenibile, che attua i principi dell’economia circolare e dell’eco-turismo, in favore di sostenibilità ambientale, biodiversità, efficientamento energetico, contrasto al cambiamento climatico, riduzione dell’inquinamento e del consumo delle risorse naturali;
  3. turismo inclusivo, che pone al centro la persona accogliendo e valorizzando le differenze (etniche, culturali, religiose, politiche, di genere ecc.).

Gli statuti degli Ets che svolgono tali attività andranno a richiamare espressamente, e con il dettaglio opportuno, le qualità che ne distinguono la dimensione sociale, così come ne sarà curato il richiamo in sede di loro sviluppo operativo (in fase programmatoria, di implementazione e di rendicontazione).

Criteri specifici: la ricerca scientifica

Sono richiamate nell’ambito della nozione di interesse generale, in primo luogo quelle attività che già l’ordinamento definisce come tali. Il riferimento è all’elenco contenuto nell’articolo 79 del dpr n. 135/2003, ovvero le attività di ricerca finalizzate a:

  • prevenzione, diagnosi e cura di tutte le patologie dell'essere umano;
  • prevenzione e limitazione dei danni derivanti da abuso di droghe;
  • studio delle malattie ad eziologia di carattere ambientale;
  • produzione di nuovi farmaci e vaccini per uso umano e veterinario;
  • metodi e sistemi per aumentare la sicurezza nella categoria agroalimentare e nell'ambiente a tutela della salute pubblica;
  • riduzione dei consumi energetici;
  • smaltimento dei rifiuti;
  • simulazioni, diagnosi e previsione del cambiamento climatico;
  • prevenzione, diagnosi e cura di patologie sociali e forme di emarginazione sociale;
  • miglioramento dei servizi e degli interventi sociali, sociosanitari e sanitari.

Lo sguardo è successivamente allargato ad ulteriori attività, come restituite dall’evoluzione stessa della ricerca, dal diritto positivo e dai fenomeni sociali emergenti, andando a ricomprendere:

  • ricerche su modelli di relazione tra Ets, e tra Ets ed istituzioni, così come su modelli ed esperienze di funzionamento del sistema Terzo Settore quali reti ed amministrazione condivisa;
  • ricerca sull’origine (e sulle conseguenze) dei fenomeni migratori;
  • ricerche in materia di promozione e tutela dei diritti umani e dei diritti civili e politici delle persone;
  • ricerche in materia di prevenzione sanitaria e prevenzione legata ai corretti stili di vita;
  • ricerche per la prevenzione degli impatti delle attività in sede ambientale e per la salvaguardia dell’ambiente e del pianeta, compresa quella relativa al contenimento dell’emissione di Co2.
  • ricerca per lo sviluppo di tecnologie per applicazioni sociali, inclusa quella per favorire percorsi di autonomia delle persone con disabilità, anche attingendo a nuovi e più evoluti strumenti della tecnologia (piattaforme, device);
  • ricerca sociale e sociologica, inclusa quella su modelli economici e di analisi di impatto in grado di integrare, nella valutazione di risultato della crescita di comunità e Paesi, le seguenti dimensioni: sociale, ambientale e della soddisfazione/qualità di vita;
  • ricerca volta alla tutela e alla valorizzazione del patrimonio artistico, culturale e naturalistico;
  • ricerca in materia di responsabilità sociale dei social media e del loro utilizzo.

Infine, nella consapevolezza dei nuovi orizzonti che alla ricerca si aprono, anche su di un piano sociologico e culturale, presso gli ambiti oggettivi valorizzati dalla normativa di Terzo settore, il parere conclude per la ricomprensione nel novero delle attività di ricerca scientifica di particolare interesse sociale, di “tutte le attività di ricerca relative agli ambiti di intervento elencati dall’art. 5, co.1 del d.lgs. 117/2017 o che favoriscano lo sviluppo delle stesse

 

*Di Marina Montaldi