La sfida: come misurare il peso economico del non profit

Città: ANCONA - Giovedì, 29 Febbraio 2024 Scritto da Ufficio stampa CSV Marche

(da VDossier*) - Dalla Johns Hopkins University all’Istat, sempre più enti di ricerca si interrogano sui metodi per valutare l’impegno degli attivisti. La situazione in Italia vista da Tania Cappadozzi, ricercatrice dell’istituto di statistica, e da Laura Berardi, docente dell’ateneo Gabriele D’Annunzio di Chieti-Pescara

ANCONA - “Quel che non si conta, non conta”. Ne era fermamente convinto Lester Salamon, fondatore del Centro per gli studi sulla società civile della Johns Hopkins University, considerato uno dei massimi esperti della misurazione del non profit, che riteneva un passaggio obbligato per riconoscere e far riconoscere al Terzo settore il peso e il ruolo che ha.

Già, ma come si può misurare il valore dell’impegno volontario? Si può quantificare anche in termini economici? E soprattutto perché farlo? Parlare di valorizzazione economica del volontariato può sembrare una contraddizione e far storcere il naso, proprio per la natura intrinseca dell’oggetto di valutazione, l’impegno solidale, volontario e gratuito appunto, ma su questo tema nella letteratura dedicata al volontariato, ci sono già anni di studi, sperimentazioni e ricerche, realizzati anche con l’apporto di alcuni Csv. Solo addentrandosi nel ragionamento da punti di vista differenti, si possono cogliere le diverse implicazioni, le “applicazioni” e i   possibili risvolti che può avere la valorizzazione del lavoro volontario.

Occorre partire in particolare dal “Manuale sulla misurazione del lavoro volontario” pubblicato nel 2011dall’Ilo (Organizzazione internazionale del lavoro), in collaborazione con il centro della Johns Hopkins che definisce e codifica il lavoro volontario e applica un metodo per misurare, in valore economico, i volontari e le loro attività.

“L’organizzazione internazionale del lavoro va oltre la definizione di lavoro come occupazione retribuita”, spiega Tania Cappadozzi, ricercatrice Istat, dove è responsabile dell’indagine Uso del tempo e misurazione del lavoro volontario, “perché al benessere del Paese contribuiscono tanti tipi diversi di lavoro, tra cui il lavoro familiare e quello volontario che non sono retribuiti. Dunque il benessere può essere misurato affiancando quello che c’è sul mercato e quello che c’è fuori, che però è altrettanto essenziale. Da qui nasce la necessità di comparabilità e definizione condivisa, che porta alla creazione di un ‘conto satellite’ da affiancare alla contabilità nazionale, per determinare il valore economico di queste altre forme di lavoro”. Secondo il manuale Ilo, definizione aggiornata al 2013, per lavoro volontario si intendono le attività, condotte nelle quattro settimane precedenti l’intervista, svolte in modo gratuito a beneficio della collettività (esclusi i familiari, anche non conviventi) e del bene comune, sia tramite forme organizzate, sia – novità assoluta del 2011 – con un impegno individuale come singoli.

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* di Monica Cerioni

Ultima modifica il Venerdì, 01 Marzo 2024 10:53